Spesso
la storia devi andartela a cercare. I ricordi, neanche troppo sbiaditi, di qualcosa
che, in un modo o nell'altro, ti ha coinvolto non cedono e finiscono col riaffiorare
nel momento in cui meno te lo aspetti: il gusto di un biscotto, il suono di un
cucchiaino su un piattino da the o la mattonella sconnessa di proustiana memoria
richiamano istanti che si credevano irrecuperabili, te li trascinano davanti senza
troppi complimenti, ti mettono con le spalle al muro fino a che non li hai recuperati,
ne hai il controllo, ne aspiri ancora odori ed emozioni.

Farli
rivivere oggi, al di là di quel misterioso soffio d'infinito, sarebbe un'operazione
artificiale, un impastare un Golem senz'anima, irriconoscibile ai più e, probabilmente,
agli stessi che quei momenti li hanno vissuti in prima persona senza pensare di
entrare a far parte di un mondo che, nonostante tutto, viene rievocato con affetto
e qualche nostalgia. Ma quello che è consegnato alla storia (badate bene: non
"al passato"!) conserva il suo senso solo nel suo specifico contesto:

quello
di un'epoca precisa, segnata da eventi, abitudini, rituali quotidiani, solenni
liturgie profane e campestri connotate dalla partecipazione di masse più o meno
consapevoli. Così, trentacinque anni dopo il concerto pop di Villa Pamphili, a
Roma, non si è neanche tentato di riproporre una situazione del tutto irripetibile
per i motivi prima delineati: si è preferito lasciare spazio alla storia ed ai
suoi protagonisti. E la storia, specie negli ultimi decenni lanciati verso una
comunicazione di massa sempre più capillare ed aggressiva, finisce col nascondersi
fra le sue stesse pagine ed immagini. In qualche modo, però, continua a far sentire
la sua voce affascinante, dai toni caldi di emozione di quanti sfogliano un album
fotografico, a quelli appassionati dei testimoni, a quelli più tecnicamente impostati
di una ricerca di documenti.
Foto
gentilmente concesse al NT Net-club da archivio privato: tutti i diritti riservati